L’uso di ayahuasca durante la gravidanza e il parto è parte delle tradizioni di diverse comunità meticce e del Santo Daime nella regione Amazzonica.
FONTE: https://chacruna-la.org/o-uso-do-santo-daime-no-parto/
Il Santo Daime ha un ruolo di primo piano tra le piante di potere dell’universo sacro femminile, perché è legato al mito e al mistero della nascita. L’arte di partorire con preparazioni botaniche risale a 2000 anni a.C. e le partere – levatrici – indigene (archetipo della donna selvaggia) hanno trasmesso questa pratica alle partere del bacino amazzonico, così questa conoscenza è stata trasmessa di generazione in generazione.
I popoli indigeni dell’America pre-colombiana vivevano in comunione con la natura, venerando la Madre Terra, con l’ayahuasca che fungeva da professore che trasmetteva insegnamenti e favoriva l’integrazione della tradizione tra le popolazioni meticce.
Se, negli ultimi duemila anni, la storia ha cercato di reprimere il ruolo e il potere della donna, ora la forza femminile sta emergendo con forza. Donne indigene si iniziano come pajé (sciamano e capo-villaggio) rompendo tabù e stabilendo nuovi paradigmi. Nell’era delle religioni matriarcali la grande Dea Madre, il suo potere creatore, il suo utero e le sue gravidanze, erano venerati. La capacità di generare un figlio era l’opportunità di un’iniziazione governata dal principio lunare.
Nella cultura del Santo Daime il sacro femminino è simbolizzato da Nostra Signora della Concezione, la Regina della Foresta. Padrona della dottrina, lei si manifesta all’interno della luna per rivelare gli insegnamento sul matrimonio alchemico delle piante di potere: la foglia chacruna e la liana jagube. Come rappresentanti simbolici di Madre e Padre confortano e castigano, e insieme generano il figlio d’oro: il tè del Santo Daime, il cui nome viene dal verbo ‘dare’ (dai-me), un riferimento alle richieste che si fanno duranti i lavori spirituali, che vengono soddisfatte solo a chi lo merita.
Nel decennio del 1980, nella città di Rio Branco (Brasile) si distingueva la comunità agricola ed estrattivista di Carolina Cinco Mil, guidata dal seringuero Sebastiao Mota de Melo, o Padrino Sebastiao, principale responsabile dell’espansione del Santo Daime fuori dalle frontiere del paese. Era un predicatore riconosciuto, riceveva lo spirito curatore di Bezerra de Menezes, aiutava nei parti difficili e incentivava le levatrici, chiamate “madrine”, ad usare il Santo Daime. Tra di esse ricordiamo: Maria Corrente, Dalvina Corrente, Maria Nogueira, Francisca Corrente e la più richiesta, Cristina Raulino.
Tra femminismo e femminino-sacro
L’anima femminile e libertaria di Padrino Sebastiao riconosceva il ruolo della donna e riveriva le sue qualità, in un’epoca di regole stabilite dal patriarcato:
“La donna deve essere considerata come la presenza della Sovrana Vergine Madre. L’uomo è cresciuto così tanto che ha soffocato il potere della donna, relegandola a una schiava, ma ora è Dio stesso che le sta ridando valore. Loro sono ancora più che l’uomo. Loro hanno avuto così tanta vicinanza con Dio che suo Figlio si è incarnato attraverso una donna.” (Padrino Sebastiao, Céu de Mapiá, 1987)
Le levatrici del Santo Daime hanno una visione interiore, leggono i movimenti dell’utero durante la gestazione con le mani, che sono gli occhi dell’intuizione e dell’esperienza; si abbandonano alla visione interiore con preghiere, orazioni e canti, danno sicurezza, calmano e alleviano i dolori con massaggi, oli, bagni e fumigazioni. Per questo sono chiamate madrine.
Le levatrici del Santo Daime sono le guardiane dell’antica arte del parto. Rispettano il ritmo biologico, danno totale libertà alla donna di scegliere la migliore posizione, favorendole un ambiente accogliente, con supporto pre-natale, durante il parto e nel post-parto. Aprono lo spazio per chi vuole condividere, stimolando i giovani ad apprendere questa arte. Seguono i criteri di qualità per un parto sicuro e soddisfacente, tanto per la madre che per il bambino, dando dimostrazione di un vero sentimento di solidarietà.
Secondo la psichiatra junghiana Adelise Monteiro, autrice del libro “Partorire” (2015) la stretta relazione della figura della levatrice con quella dello sciamano è basata sul fatto che entrambi accedono all’inconscio in una continua esperienza religiosa, con la capacità di profetizzare una volta che si rompono le barriere dello spazio-tempo, e impegnano le tecniche di morte e rinascita. Il parto è un’esperienza trasformatrice, un rito di passaggio, è necessaria un’intimità totale con i processi inconsci, è necessario abbandonarsi, interagire con il dolore, lasciar fluire, ricollegarsi con la base femminile più profonda e confidare nella guida – la levatrice.
Un’esperienza sorprendente
Durante la mia ricerca nell’ambito della storia della mentalità collettiva, ho avuto l’opportunità di presenziare a diversi parti con il Santo Daime nella comunità che visitavo, e tutti hanno avuto un esito positivo, anche in caso di situazioni avverse, come cordoni ombelicali intorno al collo, posizione del feto incorretta etc.
Oltre alle piante enteogene le levatrici usano altre piante alleate, ossia erbe medicinali che aiutano nell’arte del parto, come ad esempio il menstrasto (Ageratum conyzoide), per il bagno e la diagnosi; il cotone (Gossypium herbaceum), per la ritenzione placentare; la copaiba (Copaifera langsdorfii), per cicatrizzare il perineo, tra le molte altre.
Nel 1986 vissi questa esperienza, stimolata dalla possibilità di un parto normale considerato impraticabile dalla medicina convenzionale, ma realizzato con successo dalla levatrice della comunità, con madrina Francisca Corrente. La nascita di mia figlia fu l’esperienza più gratificante e sorprendente che abbia mai vissuto.
In quel tempo il tutore della mia ricerca presso il CNPq, il farmacista Frederico Arruda dell’Università Federale dell’Amazzoni, stava sviluppando uno studio con due gruppi di animali gravidi. Un gruppo bevve il tè di ayahuasca e l’altro no. Nel gruppo che ingerì l’ayahuasca si rilevarono parti più facili e rapidi, con la nascita di cuccioli più agili e svegli rispetto all’altro gruppo. Nell’esperimento fu osservato un acceleramento delle contrazioni, il rilassamento della muscolatura liscia e una possibile attivazione di neurotrasmettitori.
L’apertura a livello internazionale
L’organizzazione Mondiale della Salute (OMS) riporta che il parto naturale ha minor tasso di adesione, con l’eccezione dell’Olanda e della Svezia. In Brasile il 37% dei parti realizzati nella rete pubblica sono cesarei, nella rete privata questo numero aumenta all’82%. I parametri della OMS per una buona assistenza in maternità prevedono un tasso di appena il 15% di parti in cesari e 85% di parti normali.
Nella decade del 1970 ha avuto inizio un processo di medicalizzazione del parto, nel frattempo nelle regioni nord e nordest la tradizione continua a mantenersi viva a causa dell’isolamento geografico di queste aree. Attualmente esiste un movimento intorno all’umanizzazione del parto che porta all’attenzione il fatto che appena il 10% dei parti sarebbero a rischio. L’OMS consiglia il parto domiciliare come modello valido e suggerisce che sia incorporato nel Sistema Unico della Salute.
La Politica Nazionale delle Pratiche Integrative e Complementari (PNPIC) del Ministero della Salute del Brasile ha raggiunto un buon punto incorporando, nel 2006, medicine tradizionali di altri paesi nel Sistema Unico della Salute (SUS). Con questa misura il sistema pubblico è passato a offrire pratiche terapeutiche della medicina cinese, della medicina ayurvedica, dell’omeopatia e dell’agopuntura, sebbene non abbia contemplato la medicina tradizionale amerinda, di cui l’ayahuasca fa parte, che è frutto della nostra diversità culturale e ambientale. Esistono nel mondo 800 specie di ayahuasca (Banisteriopsis caapi) di cui circa 400 sono concentrate in America del Sud, specialmente in Amazzonia.
L’ayahuasca è basata su di un’economia cooperativa, con una metodologia descrittiva che viene apportando cammini innovativi nel trattamento di diverse infermità, come l’alcolismo, la dipendenza da droghe, il morbo di Parkinson e la depressione. Il tè di ayahuasca può essere impiegato non solo per le malattie, ma anche nel travaglio del parto e come veicolo di auto-conoscenza.
Conclusioni: è ora di darsi una mossa
Alcuni dubbi possono essere sollevati. È arrivato il momento di riconoscere l’ayahuasca come fitoterapico o fitomedicamento? Il primo passo è che non sia considerata droga illecita, per poter uscire dalla lista dell’Organizzazione Mondiale della Salute che contiene sostanze proibite ed entrare a fare parte dell’eredità della farmacopea popolare. Il movimento di tutta la comunità ayahuasquera ha raggiunto un grande traguardo quando è stata dichiarata patrimonio culturale nazionale in Perù.
Il prossimo passo è che venga considerata come pratica integrativa e complementare e che venga incorporata nel PNPIC poiché, oltre ad essere parte di una cultura, è qualcosa che favorisce la salute. Naturalmente tutte le medicine hanno i propri rischi ed è necessario essere accompagnati nella loro somministrazione.
Secondo lo psichiatra e ricercatore Ricardo Moebus (UFOP) ci sono diversi medicinali con effetti psicotropi che vengono usati nel Servizio di Attenzione Mobile di Urgenza (SAMU), come l’haloperidol e il diazepam, i cui importanti effetti collaterali non impediscono che si mantenga il loro utilizzo. Il tè dell’ayahuasca attiva la funzione di alcuni neurotrasmettitori interagendo con la dopamina e la serotonina, inoltre ha effetto inibitore del MAO (enzima monoammino-ossidasi), che favorisce il potenziale terapeutico della DMT, tra gli altri suoi principi attivi.
È arrivata l’ora di darci una mossa in questo processo. Già è ora di riconoscere ufficialmente l’utilizzo dell’ayahuasca come pratica integrativa di salute, a partire dal suo uso storico, etnobotanico e medicinale. A partire dal riconoscimento degli organismi dello Stato, la medicina tradizionale acquista senso e inizia ad essere valorizzata e rispettata. Il Pajé non ha bisogno di entrare nel Sistema Unico di Salute (SUS) ma il SUS sa dove stanno i Pajé e sa dove stanno le levatrici che usano pozioni botaniche.
Incoraggiare il parto naturale, con o senza preparazioni botaniche, è ricostruire l’incanto della celebrazione della vita, è il riscatto e la valorizzazione della conoscenza tradizionale, molto lontano dalla visione biomedica e materialista dell’ospedale. Mantenere viva la tradizione del parto umanizzato è un atto di resistenza al monopolio delle pratiche di salute e della produzione di medicinali, oltre a valorizzare il nostro patrimonio culturale, contenuto nei saperi tradizionali e nelle azioni intuitive o empiriche sull’uso delle piante.
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